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Centre de recherches en histoire et épistémologie comparée de la linguistique d'Europe centrale et orientale (CRECLECO) / Université de Lausanne // Научно-исследовательский центр по истории и сравнительной эпистемологии языкознания центральной и восточной Европы

-- Benedetto CROCE «A proposito della crisi nella scienza linguistica», La critica, anno XX, fasc. 1, 1922. p. 177-180.

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             Testè, ho compiuto la lettura di parecchi scritti di linguistica e mi sono rimesso alquanto al corrente in questo campo di studii, al quale da circa venti anni non avevo quasi più rivolto l'occhio, occupato com’ero in altri  problemi e indagini. E ho provato il compiacimento di notare che la scienza del linguaggio è ora in piena benefica crisi, e che i concetti che, oltre vent’anni fa, io avevo sostenuto in tale materia sonò stati tutti confermati o riscoperti dai più recenti studiosi.
        Non già che quei miei concetti non avessero precedenti presso gli stessi  cultori di linguistica, perchè i dubbii circa la validità delle cosidette leggi fonetiche, e la polemica contro i neogrammatici, potevano vantare nomi insigni, come quelli dell'Ascoli e dello Schuchardt. Tali dubbii sono poi riapparsi e hanno, per così dire, esploso nello Gilliéron e nella sua scuola, operando un rivolgimento nel modo di studiare la storia delle parole.
        Ma io mi avvidi forse pel primo che le teorie allora correnti nella linguistica erano una delle varie forme del positivismo e dipendevano dalla concezione meccanica o naturalistica del parlare e, più in particolare, dalla positivistica ignoranza circa il concetto della creazione artistica e della vita dell'arte e della poesia.
        Com'era, allora, considerata la linguistica dai filosofi, e non da quelli volgari, ma da filosofi di molto acume e dottrina, avvolti tuttavia nel naturalismo, determinismo e psicologismo? Può vedersi in una pagina della importante prelezione, che nel 1887 il mio maestro Antonio Labriola tenne all'università di Roma sui problemi della filosofia della storia[1]. Il Labriola guardava alla storia delle lingue come a quella parte della storia che s'era innalzata a scienza e splendeva come un faro a in-
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dicare la via di salvezza alle altre parti. «La storiografia tradizionale (egli scriveva), che usa del criterio prospettico della successione nel tempo per dati di cronologia uniforme, si risolve da sè come in tanti processi di formazioni specifiche, aventi il proprio ritmo, e indipendenti dalle divisioni convenzionali di Oriente e Occidente, di antico, di medievale e di moderno, o come altro si dicano. E, difatti, lo studio specifico di alcuno degli ordini precisi di fatti omogenei e graduati, ci ha dato ai nostri tempi i primi serii tentativi di scienza storica; e se non in tutte le maniere di studii fu sino ad ora possibile di raggiungere l'esatteza della linguistica, e specie dell'ariana, non è improbabile, a giudicare dagli avviamenti, che il medesimo debba accadere di altre forme e di altri prodotti dell'attività umana. Con questi studii, come con vero e proprio oggetto di scienza, il filosofo della storia deve simpatizzare, se non vuole chele sue elucubrazioni e il suo insegnamento divengano presto esercizio di rettorica speculativa». Nel rileggere ora questa pagina, si prova l'impressione di assistere a una delle non infrequenti «ironie della storia». Il grande edifizio della linguistica, con le sue esatte leggi fonetiche, è ora mezzo in rovina; e i linguisti, anzichè prestare il modello alle altre parti degli studii storici, chiedono a queste il modello per rinnovare e correggere le loro indagini.
        È stato notato che la crisi è sorta non tanto nel campo della grammatica storica, quanto in quello dell'etimologia. La cosa è affatto ovvia. La legge fonetica, che prima si concepiva come legge naturale nel senso di una legge «reale», e che è invece naturalistica e astratta, scopre la sua impotenza o i suoi limiti innanzi al concreto etimologizzare, cioè al problema storico effettivo, che è sempre individuato. E quando lo Gilliéron intitola uno dei suoi scritti: La faillite de l'Etymologie phonétique[2], che cosà fa egli se non ripetere la formola che abbiamo udito risuonare ogni volta che qualche parte della filosofia o della storia ripigliava la sua libertà di movimenti, scotendo via la brutale violenza procustea del positivismo : a cominciare da una certa celebre Banqueroute de la Science, che fu annunziata in un paese in cui la Science aveva avuto, forse più che in altri, senso e predominio esclusivamente positivistico ?
        Per questa ragione godo che alcuno dei recenti linguisti (e degli italiani ricordo il Bartoli e  il Bertoni, il quale più di ogni altro si è fatto  presso di noi l'apostolo del nuovo avviamento) abbiano espressamente riattaccato le loro critiche e le loro indagini ai concetti della nuova Estetica e della nuova Filosofia dello spirito, che riporta il linguaggio all'esprimersi (all’espressione in senso teoretico e non già all'espressione in senso pratico; che è mero indizio o sintomo) e, per questa via, lo iden-
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tifica con la poesia e con l'arte in genere, e tutti i problemi del Iinguaggio ritrova sostanzialmente identici a quelli teorici e storici della poesia e dell'arte.
        Tale ricongiungimento al metodico e sistematico pensiero filosofico ha il vantaggio non solo di rendere più rigorose e perspicue le dottrine, ma anche d'impedire le esagerazioni o unilateralità, a cui facilmente si lasciano andare gli specialisti novatori, acuti e anche geniali, ma non altrattanto esperti in concetti speculativi. Dei quali specialisti io riconosco l’opera utile ed efficace, e li preferisco, pur coi loro eccessi o difetti, agli astratti filosofanti, e ho detto più volte che la loro audace e arrischiata filosofia, sorta sulla considerazione delle cose particolari e ritenente qualcosa di particolare e contingente, vale di gran lunga più di quella avveduta e assottigliata ma arida di molti filosofi di mestiere, anzi quella vale e questa non vale perchè quella è viva e questa è morta. Ma ciò non toglie che il meglio è riunire la virtù della specialità a quella dell’universalità.
        Parlo qui in generale della presente fase degli studii sul linguaggio, e perciò non entrerò in un esame critico delle idee che ora si propugnano : esame che, del resto, altri va facendo e con preparazione specifica migliore della mia. Ma, se dovessi dare un esempio della necessità di rendere più perspicui certi concetti della nuova scuola, mi fermerei su quello di etimologia popolare, che essa giustamente fa valere e con tanto frutto, ma che, così come è formuìato, è una metafora. « Vous travaillez à l'étymologie (dice lo Gilliéron ai suoi uditori), mais souvenez-vous que le peuple y a travaillé avant vous». Ora quell'etimologizzare onde si forma la nuova parola ossia il nuovo significato e il nuovo fonema non è altro che l'opera della fantasia espressiva, la quale, come in una piccola parola o piccola frase così in una grande opera di poesia, crea sempre sul passato, e perciò volge a nuovo uso gli elementi del passato e ne dà una nuova sintesi nella quale quel passato è e non è quello di prima, e in fondo ha ceduto il posto al nuovo. Ma l'etimologizzare propriamente detto è invece l'opera riflessa dello storico, paragonabile all'opera dello storico dell'arte, che di un'opera d'arte indaga la genesi, la vera origine o etimologia.
        E, se dovessi dare un esempio delle cautele da adoperare, vorrei mettere in guardia contro lo spregio delle cosiddette leggi fonetiche, della grammatica storica e normativa, e anche dell'Académie, come dice lo GiIliéron. In verità, le leggi fonetiche sono utili in quel che possono, come tutte le leggi empiriche; della grammatica normativa e dell' Accademia non si potrà far di meno perchè discipline e istituti che si sforzano a serbare o a far muovere lo svolgimento linguistico in un certo indirizzo che merita di essere difeso se anche non deve avere, e non ha poi mai nel fatto, prevalenza assoluta. Ciò che importa combattere non è quegli istrumenti d'indagine o di scuola, ma l'ibridismo dei metodi che porta per conseguenza problemi insolubili o soluzioni immaginarie,
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e talvolta ridicole[3]. La linguistica idealistica, o meglio la nuova filosofia e storia del parlare, sarà tanto più consapevole e sicura della propria verità, quanto più sarà moderata.
        Colgo l'occasione per manifestare un desiderio. Anni sono, cercai di mostrare sotto miglior luce gli storici e filologi, ligi all'antico, che, nella prima metà del secolo decimonono, riluttavano e si opponevano violentemente alle teorie e ai metodi della linguistica indeoeuropea, additando quel che di ragionevole mi pareva che fosse nella loro opposizione[4]. Non sarebbe il caso ora di tenere presente la parte del loro scetticismo che coglieva nel giusto e le esigenze legittime che essi rappresentavano? A questo modo si adempirebbe un dovere di pietà; ma da ciò si ricaverebbe anche qualche istruzione, e talvolta i dotti linguisti si rivedrebbero innanzi, autenticati dai fatti, i « pareri di Perpetua». B.C.          


[1] Ristampata da me in LABRIOLA, Scritti vari di filosofia e politica (Bari, Laterza, 1906): cfr. pp. 211-2.

[2] Études sur la défectivité des verbes. La faillite de l'Étymologie phonétique. Résumé de conférences faites à l'École pratique des hautes études J. GILLIÉRON, Neuveville (Berne), 1919.

[3] A proposito di queste: perchè mai anche il MEYER-LÜBKE, Roman. Etym Wörerb., n. 1721, si ostina a derivare carosello o carrousel, con fonetica etimologia, da carrum, quando io ho dimostrato che l'origine è tutt' altra e assai più complicata (v. La Spagna nella vita italiana della Rinascenza, pp. 191-2) ? Per quel vocabolo si potrebbe scrivere una divertente storia alla Gilliéron (dove forse entrerebbe, m aassai tardi, anche il carrum). Della quale storia delle parole come storia della fantasia voglio segnare qui uno spontaneo avviamento o desiderio che ne ho trovato in un vecchio scrittore napoletano, nelle annotazioni (1588) d Tomaso Costo alla Storia di Napoli del Collenuccio. ll quale, esaminando la disputa etimologica di «Terra di lavoro» (dai «campi leborini» o leboriae ovvero da «lavoro»), acetta tutte e due le derivazioni in contrasto e osserva: («Suole spesso accadere che si darà un nome ad una cosa a un proposito, ed in processo poi di tempo succederà qualche accidente di così strana conformità che investendosi dello stesso nome lo tira ad un altro proposito assai diverso dal primo»;  aggiunge di questo processo aItri esempi: «Gravina», dalle «gravine» valloni, e dal grano e vino onde abbonda; «Montevergine», da «Virgilio» e da Maria Vergine, ecc. (v. nell’ed. della Istoria del Collenuccio, Napoli, 1771, I, 12-13).

[4] V. ora la mia Storia della storiografia italiana nel secolo XIX, I, 56-63 : cfr. II, 9-17.