Premesse
Il presente lavoro non propone teorie rivoluzionarie o scoperte sensazionali per lo studio della lingua ucraina. Nasce da una serie di domande a cui non è semplice dare risposta: cos’è una lingua, e, nello specifico, cos’è la lingua ucraina? Possono istituzioni e potere politico di un regime totalitario averne indirizzato o deviato lo sviluppo nel periodo compreso fra le due guerre mondiali? Quali fattori intervengono nella fissazione della norma linguistica in generale, e, nello specifico, nel contesto dell’Ucraina sovietica?
A queste domande non siamo tuttora in grado di fornire risposte esaustive, ma, in parte, riteniamo di aver identificato ambiti e percorsi che possano chiarire alcuni aspetti della problematica, nella convinzione che sia opportuno consentire a un lettore occidentale, e nello specifico, italiano, di conoscere, almeno parzialmente, una fase di indubbio fermento e vivacità nella storia della lingua ucraina.
Negli ultimi anni, l’Ucraina è balzata agli onori delle cronache per il susseguirsi di fatti quali la Rivoluzione arancione, Euromajdan e il doloroso conflitto nell’area orientale del paese. Per molti, tuttavia, storia, cultura e lingua dell’attuale Ucraina restano entità poco note o sconosciute, e, non di rado, sono sovrapposte a quelle russe.
Oggi la realtà sociolinguistica del paese si presenta come piuttosto complessa, come, più generalmente, è complessa la storia delle terre che compongono l’Ucraina. Sulle nozioni di pluralità, ricchezza e interazione culturale e linguistica poggia proprio la specificità ucraina. Tracciare un profilo sociolinguistico del paese oggi presenta le sue oggettive difficoltà. A influire sulla situazione odierna vi è, senza dubbio, la storia linguistica del paese, che risente inevitabilmente delle vicissitudini storiche, che lo hanno visto per secoli suddiviso e controllato, fra le altre, da due potenze slave, ovvero Polonia e Russia. In particolare, l’impero russo, ha adottato in alcune fasi storiche delle politiche di russificazione piuttosto pesanti, che hanno inciso sulla distribuzione funzionale di ucraino e russo per lungo tempo, e, in parte, tuttora.
Per operare una semplificazione molto sommaria, si potrebbe dire che, attualmente, nell’area occidentale del paese la percentuale di ucrainofoni è molto elevata, nell’area centrale gli ucrainofoni e i russofoni sono rappresentati piuttosto equamente e in area orientale è la popolazione russofona a prevalere, ma questo non tiene conto dei più recenti fatti storici: a seguito del conflitto in area orientale milioni di ucraini hanno dato vita a fenomeni di migrazione interna, per cui anche nelle aree occidentali capita molto più frequentemente di sentire parlare russo.
Tendenzialmente, nelle descrizioni linguistiche dell’Ucraina attuale si parla, in termini sociolinguistici, ripresi da Fishman, di bilinguismo con diglossia: ciò implica una compresenza nel repertorio di una comunità linguistica di due codici (nello specifico ucraino e russo), che però non sono funzionalmente equivalenti, fatto che comporta il prevalere di uno dei due a seconda delle condizioni della comunicazione.
La realtà linguistica del paese è presentata in termini ancora più ampi e specifici da Dell’Aquila e Iannaccaro (2003, p. 196):
- nelle aree russofone orientali e meridionali e nelle aree urbane del Nord, si riscontra la dilalia, ovvero coesistenza di due codici, dei quali il russo è considerato acroletto, ovvero varietà più prestigiosa, e l’ucraino basiletto, ovvero varietà bassa, usata nei rapporti non formali, perlopiù orali;
- nelle aree a maggioranza ucraina si è di fronte a dialettia diatopica ucraina, ovvero al prevalere della varietà standard di ucraino, con la facile individuabilità della provenienza geografica di un parlante, a causa di specifiche peculiarità dialettali. Accanto all’ucraino il russo si presenta come L2.
- Nel caso dei russi sul territorio ucraino, monolinguismo russo con eventuale presenza dell’ucraino come L2;
- Per le altre minoranze, dilalia russo o ucraino+lingua o dialetti della minoranza.
Al quadro presentato dai due studiosi italiani va aggiunto il fenomeno linguistico del suržyk, parola che etimologicamente indicava un miscuglio di semi di cereali e la farina ricavata da questi, ed è usata per identificare quella lingua o dialetto ibrido fra l’ucraino e il russo, in cui, sommariamente, sintassi, morfologia e fonetica sono prettamente ucraini, mentre il lessico è spesso costituito da russismi.
Tutto ciò introduce un lettore all’eterogeneità del panorama linguistico del paese, e può fornire le prime informazioni sulla complessità e delicatezza del lavoro sullo standard ucraino attuale. A nostro parere, si può capire molto della situazione odierna anche attraverso il prisma di quanto avvenuto negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, quando, nel 1922, gran parte dell’attuale territorio ucraino (ad esclusione di Galizia, Volinia, Transcarpazia e Bucovina) entrò a far parte dell’URSS. Nel contesto sovietico si diede vita a una specifica politica nota come korenizacija ‘indigenizzazione’, ovvero la tendenza a sostenere e promuovere lo sviluppo delle culture e delle lingue delle nazionalità inglobate nell’Unione. Nel caso ucraino, ciò comportò, da un punto di vista linguistico, un’intensa attività di normalizzazione, per cui, specie nel periodo compreso fra il 1925 e il 1932, si parla di ‘ucrainizzazione’ della lingua.
In questo contesto si inserisce il lavoro dei linguisti al centro della nostra trattazione, i quali per la prima volta lavorarono in modo coordinato e sotto l’egida di un’istituzione accademica (nata nel 1918), e non senza discussioni e divergenze, sulla norma dell’ucraino, che era stata selezionata e codificata fra la fine del Settecento e l’inizio del XX secolo.
Già sul finire degli anni Venti, ma in maniera evidente a partire dal 1933, la politica linguistica sovietica si reindirizzò su un’idea di maggiore sovietizzazione o russificazione, e ciò comportò, nel caso ucraino, in primo luogo la rimozione e la repressione di molti dei linguisti attivi nella fase precedente; inoltre, la sparizione di molti testi scolastici e dizionari, considerati di stampo nazionalista, e, infine, un notevole calo quantitativo e qualitativo nella produzione scientifica.
Questi fatti ci portano a riflettere sul delicato compito dei linguisti nel fissare la norma di una lingua standard (o ‘letteraria’, concetto che sarà spiegato e presentato al lettore occidentale). In aggiunta a ciò, ricollegandoci a quanto accennato in precedenza, si stimola la riflessione sul come si possa giungere a fissare in maniera solida la norma di una lingua che, storicamente, ha subito il forte influsso del polacco e del russo, quanto conti la ‘distanziazione’ da queste due lingue slave e, come per tutti gli standard, quale sia il peso del purismo linguistico.
Come vediamo, il quadro sommariamente presentato è già estremamente delicato e complesso, ma non ancora completo. I linguisti ucraini attivi nella fase della cosiddetta ‘ucrainizzazione’, chiaramente, non partono ex nihilo, e nel loro lavoro hanno una matrice culturale di riferimento, che, pur con oscillazioni individuali, è identificabile nella penetrazione, diffusa in area slava, della linguistica romantica di Herder, Fichte e, soprattutto, Humboldt (quest’ultimo centrale per due figure di riferimento dei normalizzatori ucraini degli anni Venti e primi anni Trenta, ovvero Potebnja e Žytec’kyj). Dall’area tedesca, senza dubbio, giunse anche l’influsso dello psicologismo linguistico di Steinthal, Lazarus e Wundt, in particolare in relazione alla sintassi.
Dunque, il lavoro sulla norma dell’ucraino fra gli anni Venti e i primi anni Trenta vede il concorrere di molti fattori: molti senz’altro linguistici (con produzione di testi di pregio, tanto da essere considerati riferimento per il lavoro dei linguisti odierni), altri, come per tutti gli standard, di ‘ideologia linguistica’, altri ancora collegati a modelli epistemologici piuttosto evidenti.
La presente trattazione si compone di quattro capitoli: nel primo si proporranno sinteticamente al lettore le premesse storiche, culturali e linguistiche al lavoro di normalizzazione svolto nel periodo interbellico, la definizione di concetti base e alcune puntualizzazioni terminologiche relative a espressioni ucraine che hanno una difficile resa in italiano, in quanto indicano concetti specifici.
Nel secondo, si presenteranno alcune tra le principali figure che contribuirono in modo determinante alla definizione della norma ucraina nella fase dell’ucrainizzazione: esse saranno presentate secondo la classificazione proposta da Shevelov (1989, pp. 138-139) in due scuole, ovvero quella etnografica e quella sintetica. Sulla base degli scritti, per ogni linguista menzionato si tenterà, seppur parzialmente, di ricostruire l’approccio all’oggetto ‘lingua’ e, in particolare, alla ‘lingua ucraina’ da normalizzare. Per farlo si farà ricorso all’impostazione di studi sulla questione della lingua presso gli Slavi elaborata da Riccardo Picchio, e si proveranno ad identificare i concetti di dignitas e norma dell’ucraino nella visione di ogni linguista presentato. Sempre all’interno del secondo capitolo, si presenteranno sinteticamente i risultati del lavoro di normalizzazione degli anni Venti e primi anni Trenta, accennando al cambiamento di rotta operato nella fase successiva di sovietizzazione/russificazione. Stimolati dal fatto che due ambiti nei quali si registrarono accesi dibattiti e controversie fra linguisti furono quello sintattico e quello ortografico, si è scelto di dedicare a essi la seconda metà della trattazione.
Nel terzo capitolo ci si concentrerà sui dibattiti relativi alla sintassi ucraina. Dopo aver presentato alcuni dei più rappresentativi fra questi, si tenterà di verificare in prospettiva diacronica se le posizioni dei linguisti, in particolare quelli appartenenti alla scuola etnografica (più purista) sono storicamente motivate. Inoltre, si cercherà di evidenziare l’approccio alla normalizzazione sintattica, che risente di letture psicologiste: in particolare, dall’analisi degli scritti emerge che, nella visione della scuola etnografica, la sintassi è il riflesso di una struttura del pensiero che, in un certo senso, assume un carattere nazionale. Infine, si presenterà il cambio di orientamento nella politica e pianificazione linguistica degli anni Trenta, menzionando un pamphlet polemico-ideologico dedicato alla sintassi e alcuni manuali scolastici redatti dopo il 1933.
Il quarto capitolo è incentrato su un’ampia ricostruzione dei dibattiti sulla norma ortografica dell’ucraino. Inizialmente si rifletterà sul valore identitario e simbolico di cui è investito l’aspetto grafico di ogni lingua, e, in area slava, su una certa aura di ‘sacralità’ dell’ortografia, derivante dallo stretto legame storico-culturale fra ortodossia e ortografia. Successivamente, si tenterà di presentare la sequenza di fatti e discussioni che portò, nell’ordine, a elaborare le Regole principali dell’ortografia ucraina (1921), al progetto ortografico del 1926, all’ampia discussione in specifiche pubblicazioni e riviste nel periodo compreso fra il 1926 e il 1927, alla conferenza ortografica tenutasi a Charkiv fra il maggio e il giugno del 1927, e, infine, all’elaborazione dell’ortografia pan-ucraina del 1928-29, nota anche come ‘ortografia di Charkiv’ o Skrypnykivka. Quest’ultima è tuttora rivestita di un valore identitario e simbolico molto forte, tanto da aver generato dibattiti fra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila sull’opportunità di un suo totale o parziale recupero. A nostro parere, il valore simbolico e quello scientifico di questa riforma si comprendono maggiormente grazie alla ricostruzione e presentazione piuttosto dettagliata delle fasi della discussione precedente.
Infine, nel quarto capitolo si presenterà anche la diversa impostazione e struttura dell’ortografia del 1933, indice anch’essa del cambiamento in materia di politica linguistica. A margine, si tenterà di ricostruire storicamente come e con quali tempistiche avvenne il passaggio al nuovo sistema ortografico, attraverso l’osservazione del caso specifico di un quotidiano di partito.
La tesi, come precisato all’inizio delle premesse, non presenta teorie innovative, ma si pone come tentativo di sensibilizzazione a fatti poco noti in area occidentale, e, in particolare, italiana, e come riflessione sul concetto di norma e sul lavoro concreto degli specialisti su uno standard in un contesto, quello slavo e in particolare ucraino, dove il rapporto fra lingua e nazione e quello fra lingua e identità rappresentano temi particolarmente sensibili. Questa trattazione cerca, inoltre, di mostrare anche a specialisti non al di dentro delle dinamiche slave che alcuni modelli epistemologici dei linguisti ucraini sono di evidente matrice tedesca. Infine, si propone questo testo per presentare e analizzare in lingua italiana le fasi salienti di uno sviluppo degli studi linguistici e della varietà standard dell’ucraino che hanno conseguenze e riflessi importanti anche per l’Ucraina contemporanea, sia per gli specialisti sia per i parlanti.
Le nostre riflessioni intendono affiancarsi a quelle elaborate in area ucraina, dove, in particolare, il periodo dell’ucrainizzazione e il lavoro dei linguisti negli anni Venti e primi anni Trenta è oggetto di vari studi e gode, giustamente, di grande rispetto, sia per la qualità della produzione sia per l’infelice sorte e la repressione a cui furono condannati molti studiosi, rei di aver scritto grammatiche, dizionari, o norme ortografiche improntati a criteri di ‘nazionalismo borghese’ e ‘sabotaggio controrivoluzionario’.
Il lavoro sulla norma e i normalizzatori dell’ucraino negli anni Venti e Trenta sarà presentato e valutato, per quanto possibile, con rispetto e con la dovuta dose di spirito critico, nella ferma convinzione che l’essere osservatori esterni non implichi una maggiore ‘oggettività’ e ‘scientificità’ nella valutazione, ma, semplicemente, una diversa prospettiva.
Per riassumere lo spirito che anima questa trattazione, facciamo nostre le parole di Karl Popper, il quale, nel 1983 scrisse:Non credo alla teoria corrente che, allo scopo di rendere feconda una discussione, coloro che vi partecipano debbano avere molto in comune. Al contrario, credo che più diverso è il loro retroterra, più feconda sarà la discussione (in Giorello 1995, p. xiv).
È con l’auspicio di partecipare alla discussione di questi temi con altri studiosi, ucraini e non, e, più generalmente, di sollecitare un maggiore dibattito e sensibilità agli stessi anche in ambito italiano, che proponiamo al lettore il presente lavoro.