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Centre de recherches en histoire et épistémologie comparée de la linguistique d'Europe centrale et orientale (CRECLECO) / Université de Lausanne // Научно-исследовательский центр по истории и сравнительной эпистемологии языкознания центральной и восточной Европы

-- Benedetto CROCE : «Le leggi fonetiche», in Problemi di estetica e contributi alla storia dell’estetica italiana, Bari : Laterza, 1910, p. 177-184.

INDICE

pag.

Avvertenza

VII

I. l'intuizione pura e il carattere lirico dell'arte

1

II. intorno alla teoria della critica e storia letteraria

     I. Il torto e il diritto dell'estetismo

33

     II. Le antinomie della critica d'arte

42

     IlI. Esempio di critica estetizzante

46

     IV. Critica e storia letteraria

51

     V. La letteratura comme « espressione della società »

56

     VI. I fini dei poeti

61

     VII. Determinismo, psicologia e arte

65

     VIII. II plagio e la letteratura

68

     IX. La letteratura comparata

73

     X. Storia di temi e storia letteraria

          1. Il tema « Sofonista ».

80

          2. Il tema « Maria Stuarda »

87

     XI. Storia della letteratura e storia della cultura

94

     XlI. Poeti, letterati e produttori di letteratura

106

     XIII. Dispute di critica teatrale

115

     XIV. La storia della letteratura come arte e la prosa

125

     XV. Il giornalismo e la storia della letteratura

131

     XVI. A proposito di un sonetto del Tansillo

136

III. Rettorica, grammatica e filosofia del linguaggio

     I. Di alcuni principi di sintassi e stilistica psicologiche del Gröber

143

     II. Le categorie rettoriche e il prof. Gröber

156

     III. Stile, ritmo, rima e altre cose

163

     IV. « Questa tavola rotonda è quadrata»

172

     V. Le leggi fonetiche

177

     VI. Estetica e Psicologia del linguaggio

185

     VII. La lingua universale

190

     VIII. La lingua unica primitiva

198

     IX. L' « Idioma gentile »

203

     X. Per una polemica sulla lingua

215

     XI. Le cattedre di Stilistica

219

IV. INTORNO ALL' UNITÀ DELLE ARTI

     I. Di alcune difficoltà concernenti la storia artistica dell'architettura

227

     II. Una teoria della « macchia»

236

     III. Il padroneggiamento della tecnica

247

     IV. Il ritratto e la somiglianza

256

     V. Illustrazioni grafiche di opere poetiche

262

     VI. La storia artistica della « Madonna »

265

V. concetti pseudoestetici

     I. L’umorismo

275

     II. Le definizioni del romanticismo

285

VI. PER LA STORIA DELL' ESTETICA ITALIANA

     I. Francesco Patrizio e la critica della Rettorica antica

297

     II. I trattatisti italiani del Concettismo e Baltasar Gracian

309

     III. Un verso di Lucano nell' Estetica del Sei e Settecento

346

     IV. Un pensiero critico nuovo

354

     V. L'Estetica del Gravina

360

     VI. L'efficacia dell' Estetica italiana sulle origini dell'Estetica tedesca

371

     VII. Estetici italiani della seconda metà del Settecento

381

     VIII. Una storia dell' Estetica italiana

401

VII. PER LA STORIA DELLA CRITICA LETTERARIA ITALIANA.

     I. Storia della Critica e storia dell' Estetica

419

     II. Storia della Critica e storia della Storia letteraria

428

     III. Storia della Critica e storia delle Critiche particolari

437

     IV. Giuseppe Baretti

443

     V. Di un giudizio romantico sulla letteratura classica italiana

449

     VI. Poesia germanica e poesia latina

458

VIII. SCHERMAGLIE

     I. Questioni estetiche

467

     II. Antiestetica e antifilosofia

473

     III. Conoscenza intuitiva e attività estetica

480

     IV. La ricerca delle fonti:

          1. Prefazione a una miscellanea di « fonti » letterarie

489

          2. Noterella polemica

493

INDICE DEI NOMI

505

[177]
V. LE LEGGI FONETICHE

        Le leggi fonetiche sono qualcosa di perfettamente legittimo e di molto utile; ma sono anche un grave errore. L'una cosa e l'altra, secondo che esse vengano intese in un senso o in un altro.
        Sono legittime e utili, quando servono solamente a presentare, in riassunto e in modo approssimativo, certe diversità che si notano nei linguaggì da un'epoca a un'altra, o da un popolo a un altro. La loro utilità è, in tal caso, quella medesima della Grammatica; anzi, esse, intrinsecamente, non sono, allora, altro che Grammatica. Né, parlando a rigore, è dato neppure distinguere Grammatica storica e Grammatica dell'uso vivo, perché la determinazione dell'uso vivo è, anch'essa, determinazione di un fatto storico. E neppure si può mettere un intrinseco divario tra Grammatica storica e Grammatica normativa; la forma di norma o comando, data all'enunciazione di una regolarità, non muta l'indole teoretica di questa.
        Ma quelle leggi costituiscono errore, quando, dimenticandosi la loro origine arbitraria e di comodo, vengono ipostatate e considerate come leggi reali del parlare. L'uomo, nel parlare, non ubbidisce alle leggi fonetiche, ma alla legge dello spirito estetico, che gli fa trovare, volta per volta, l'espressione adatta di ciò che gli si agita nell'animo:
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espressione sempre nuova, perché il fatto da esprimere è sempre nuovo. Considerare le leggi fonetiche come leggi reali, significa compiere l'indebito passaggio dai concetti empirici ai filosofici, che è proprio del crasso empirismo e materialismo.
        L'esattezza di quanto si è ora osservato trova conferma in ogni punto di uno studio di Eduardo Wechssler[1], che vorrebbe essere favorevole alla realtà e verità delle leggi fonetiche. Il Wechssler comincia dal ricordare un'osservazione dello Schuchardt: che « la tesi dell'assolutezza delle leggi fonetiche, e quella della classificabilità dei dialetti, sono strettamente congiunte tra loro ». E, infatti, senza questo primo arbitrio grammaticale, onde gli svariatissimi prodotti linguistici di un paese e di un'epoca o serie di epoche vengono trattati come entità costanti, e distinguibili, per segni certi, da altre entità siffatte, manchrebbe la materia per qualsiasi legge fonetica.
        Ma non basta: il Wechssler è costretto a porre anche la tesi dell'esistenza di parole isolate. Certamente, egli si rende conto di tutte le obiezioni dei linguisti in proposito; ma finisce con I'acconciarsi alla conclusione « che ciò che noi parliamo sono, sì, proposizioni o manifestazioni (Aeusserungen) , ma ciò con cui parliamo, e, cioè, il materiale linguistico, sono parole » (p. 369). L'arbitrio sta, qui, nell' immaginare che l'uomo adoperi come mezzi le parole isolate ; arbitrio subito svelato, quando si consideri che la coscienza della parola isolata proviene dalla Grammatica empirica. Per l'uomo primitivo, o pregrammaticale, la proposizione è un continuum; e, per lui, non esistono parole staccate, quasi pietre con cui si costruisca un edifizio: esistono bensì impressioni o emozioni, sintetiz-
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zate e oggettivate in una formola o proposizione. Nell'analfabeta, può mancare, o essere debolissima, la coscienza delle parole staccate; benché il parlare possa raggiungere in lui un alto grado di perfezione.
        Né basta ancora: il Wechssler deve compiere un terzo arbitrio e parlare dell'esistenza del suono singolo (Einzellaut). Anche qui, egli si rende conto dell' impossibilità di stabilire i singoli suoni, che sono infiniti; ma si appiglia al mezzo termine, che sia lecito stabilire gruppi, o categorie, di suoni affini, e considerarli come suoni singoIi (pp. 369-374). Il procedere, affatto arbitrario, è designato, nella sua arbitrarietà, con chiarezza tale che parole non vi appulero. Anzi, il Sievers, al quale il Wechssler si appoggia, dice, nella sua Phonetik, proprio cosi , « Dies Verfahren ist an sich willkürlich, sondern praktisch berechtigt». Che poi gli uomini, nel parlare e ascoltare, apprendano appunto codeste categorie arbitrarie, o codeste medie di suoni singoli, e non già ciascun suono nella sua particolare sfumatura; mi sembra asserzione del tutto gratuita, anzi contradittoria.
        Movendo da questi supposti (pratici e non scientifici), si possono notare mutamenti di suoni, e, cioè, il triplice fenomeno della sostituzione dei suoni (Lautersatz), della sparizione (Lautschwund), e dell'accrescimento (Lautzuwachs); e si può chiamarli « leggi fonetiche». Si compie, per tal modo, una finzione concettuale, la cui validità è dentro i limiti della finzione; trasportata in scienza pura o filosofia, perde ogni valore, o, se ci si ostina a serbarglielo, si converte in errore.
        Lasciamo da parte le cause dei mutamenti (delle quali il Wechssler enumera dodici); e prendiamo un esempio di codesti mutamenti, già formolato dall'Ascoli e dal Nigra: le variazioni, cui andò soggetta la lingua romana nel passare sulla bocca dei celti, pel fatto che questi erano abi-
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tuati a pronunziare un'altra lingua. Trattando comme qualcosa di fisso la lingua romana e le abitudini di pronunzia dei celti, si possono stabilire le leggi fonetiche di questi mutamenti. Ma non bisogna dimenticare che queste leggi non sono altro che il riassunto dei fatti osservati, e che la realtà spetta a questi fatti, non già al riassunto, che li impoverisce e falsifica. Un certo che, comune più o meno ai celti e, più o meno, assente nei romani, v'era di certo ; ma circoscriverlo e determinarlo in astratto non si può se non per atto di arbitrio. In concreto, quel certo che è determinabile, ma soltanto come individualità e, quindi, per diretta percezione.
        Se il Wechssler non si forma un concetto giusto delle leggi fonetiche, la ragione è da cercare nel concetto poco esatto che egli ha del linguaggio. Si veda la dottrina sulla origine o natura del linguaggio, esposta nel primo capitolo del suo lavoro, e che consiste nel riattaccare questa funzione ai movimenti riflessi (Reflexbewegungen). Vi sarebbero, secondo lui, cinque classi di movimenti espressivi umani: 1°) quelli originari dell'eccitamento interno, come l'impallidire e l'arrossire, poco suscettibili di essere sottomessi alla volontà; 2°) il gioco della fisonomia, anche difficile a dominare ; 3°) i cenni o gesti, più dominabili, tanto che si discorre di un linguaggio di gesti : 4°) il linguaggio in senso proprio, in cui prevalgono i movimenti volontarî; e 5°) i movimenti espressivi secondari, come quegli ottici, che danno luogo alle varie scritture. In una convivenza umana, si vedono e si odono, spesso ripetuti, un determinato gesto (p. e., scuotere il capo in segno di contrarietà) o un determinato grido (p. e., di orrore); e si forma la facile osservazione, che il medesimo segno appare sempre per effetto di un medesimo stato di coscienza. Alcuni, i meglio dotati, compiono il breve passo, che resta ancora da compiere, e riproducono quel gesto o quel suono
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come movimento volontario; ed ecco nascere il linguaggio (p. 353). Con questa teoria, si torna al concetto (che pareva morto e sotterrato) del linguaggio come convenzione, o come associazione di due rappresentazioni, volontariamente collegate.
        Più importante della debole teoria circa il linguaggio e le leggi fonetiche, è la parte storica, che il Wechssler aggiunge alla sua trattazione. Essa si aggira, in ispecie, su tre punti: sul concetto delle leggi fonetiche ; su quello del linguaggio come organismo ; sulla divisione della storia del linguaggio in due periodi, il periodo di formazione e il periodo di svolgimento. Potrà sembrare strano che il concetto di leggi fonetiche risalga (come dimostra il W.) proprio a Guglielmo di Humboldt, il quale lo espresse, per la prima volta, in una lettera al Bopp, del 1826. Ma l'Humboldt non portò mai a completa chiarezza le sue geniali vedute di filosofia linguistica; donde, le frequenti contradizioni che in lui s'incontrano. Dopo avere avuta molta fortuna in principio, le leggi fonetiche cominciarono a suscitare dubbi nel campo stesso dei glottologi e filologi; e furono assai discusse, segnatamente negli anni tra il 1876 e il 1885. Da quel tempo, sebbene si seguiti a farne uso pratico (attenuandone spesso il nome pomposo con quelli di « regole » o « mutamenti fonetici »), sono, in teoria, molto scosse. Sfavorevole, tra gli altri, si mostra a esse un linguista del valore di Hugo Schuchardt. L'errore del Iinguaggio come organismo culmina nello Schleicher, il quale, sedotto dal metaforico vocabolo « organismo», che I'Humboldt adoperava in significato idealistico, pretese trattare la Linguistica come scienza naturale; e, cioè, cadde nel deplorato errore materialistico. Anche allo Schleicher risalgono i tentativi di una «fisiologia del linguaggio». « La storia della dottrina dell'organismo in Lin-guistica (dice il W.) si può, in sostanza, considerare. come la storia
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di una metafora, presa alla lettera ed elevata a teoria ». Del terzo errore, poi, cioè di quello onde la storia del Iinguaggio viene divisa in due periodi, non rimasero immuni del tutto né l' Humboldt né lo Steinthal ; ma vi hanno reagito contro, di recente, lo Scherer e il Paul.
        Una carica a fondo contro le leggi fonetiche, contro il principio di pigrizia degli organi e di comodità, quale spiegazione dei mutamenti foneticì, contro le pretese dei linguisti di farla da fisiologi (ossia, di compilare i risultati del sapere altrui, invece di dare quelli del campo loro proprio di studi), è in un breve scritto del prof. Scerbo[2]. Gli odierni trattati di Linguistica cominciano sovente col descrivere l'apparato della gola e della bocca, cioè con un capitolo tolto alla Fisiologia. Presso l'Università di Pisa, è stato fondato un gabinetto fisioglottologico; al Collegio dì Francia un laboratorio di fonetica sperimentale. Opponendosi alle confusioni e aberraziont, che questi fatti rivelano, lo Scerbo sostiene che il linguaggio ha leggi spirituali e non fonetiche; che non domina in esso la pigrizia o la comodita, ma, tutt'al più, l'economia, funzione spirituale anch'essa; che nessun concetto utile al linguista è stato finora fornito dalla Fisiologia. Il linguaggio (egli dice ripetutamente) è opera dello spirito: l'intelligenza, la volontà, la memoria, l'attenzione, la fantasia spiegano, esse solamente, il suo prodursi.
        Ma le varie attività spirituali, che lo Scerbo chiama a raccolta, entrano, poi, d'avvero tutte, e in prima linea, nella produzione del linguaggio? Egli non dà sufficiente rilievo all' intuizione (o fantasia) come fatto spirituale primitivo; dal quale soltanto si origina il linguaggio, e che, anzi, è il linguaggio stesso. L'intelletto (inteso come intelletto lo-
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gico) non ha, nel linguaggio, parte primaria; la memoria non è una speciale categoria o attività dello spirito; la volontà può entrare nel linguaggio solamente nel fatto esterno della comunicazione agli altri, ma non è essenziale, costitutiva e peculiare della formazione linguistica.
        E, se lo Scerbo, come ne siamo sicuri, affinerà in questa parte i suoi pensieri, non scriverà più, come ha scritto in principio, che: « la parola qual puro segno convenzionale (se non nell'origine, certo in progresso di tempo, allorché le primitive accezioni, massime degli elementi formali del linguaggio, si sono oscurate o dimenticate), non ha verun intimo e necessario rapporto con l'idea ». In verità, la parola non è mai segno convenzionale ; e, se tale non era in principio, tale non può divenire in prosieguo, giacché le attività spirituali non cangiano natura; e ha sempre rapporto strettissimo con l'idea in quanto è rappresentazione, benché non ne abbia alcuno con l'idea in quanto concetto.
        Poniamo (tanto per intenderei) che un uomo primitivo o selvaggio indichi l'apparire di un cane con la proposizione: « Ecco un baubau .» Questa proposizione non ha nessun rapporto col concetto (con la verità scientifica) del cane; ma ne ha uno, diretto, con le impressioni, che l'apparire del cane desta nell'uomo primitivo. Un uomo moderno dirà, invece: « Ecco un cane » ; Neanche questa frase ha alcun rapporto col concetto astratto del cane; ma, anch'essa, ha rapporto con le impressioni, che il fatto desta nell'uomo moderno, il quale, diverso dal selvaggio, fornito di un ricco patrimonio di rappresentazioni e idee, all'apparizione del cane prova impressioni diverse da quelle provate dall'uomo primitivo. Donde, le parole: « Ecco un cane», e non già: « Ecco un baubau ». Se l'uomo dell'ipotesi fosse un naturalista, vivente tutto nella sua scienza, le impressioni, suscitate in lui dalla vista del cane, potreb-
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bero dare luogo a dirittura, a una frase come: « Ecco un canis familiaris ». E questa frase sarebbe tanto poco convenzionale, quanto poco convenzionale, e affatto spontanea, era l'ipotetica frase del selvaggio.
        Ciò che diciamo qui, in modo quasi popolare, è semplice conseguenza dell' importante principio, onde è stata abolita la divisione tra periodo originario e periodo posteriore del linguaggio. Il periodo originario di creazione non è stato mai, perché è stato, è, e sarà sempre; il periodo di puro svolgimento, senza creazione, non c'è, e non è stato né sarà mai. La creazione primitiva (Urschöpfung) e il parlare quotidiano sono una sola e medesima cosa. Sempre ch si parla, si crea il linguaggio; e, come lo creò l'immaginario uomo primitivo, che apri la bocca la prima volta a parlare, cosi lo creiamo noi, in ogni istante della vita, ripetendo all' infinito il gran miracolo, che è poi la realtà stessa.



[1] Giebt es Lautgesetze? (Halle, 1900; nelle Forsch. z. roman. Philol. Festgabe f. H. Suchier, pp. 849-538).

[2] F. SCERBO, Spiritualità del linguaggio (Firenze, Tip. della «Rassegna nazionale», 1902).